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Liturgia e mezzi di comunicazione per “L’arte dell’annuncio”: quarto pomeriggio di studio

Pubblicata il:  22 Marzo 2023



Il quarto appuntamento del corso “L’arte dell’annuncio”, il 21 marzo 2022, ha approfondito due aspetti importanti dell’evangelizzazione ovvero il ruolo della predicazione e dell’omiletica nell’azione liturgica e le corrette modalità di trasmissione della fede attraverso la televisione e i moderni mezzi di comunicazione sociale.

La prima parte del pomeriggio è stata affidata al frate domenicano Dominik Jurczak, Decano di Teologia dell'Angelicum e professore di critica ed ermeneutica dei testi liturgici presso il Pontificio Istituto Liturgico Anselmianum. Jurczak ha proposto un’analisi storica a partire dalle origini della predicazione cristiana caratterizzata da un’evoluzione che a un certo punto ha separato la predicazione dall’azione liturgica ponendola prima o dopo. Nel 1963 però la Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, che ripensa la liturgia come azione non solo del sacerdote ma di tutta l’assemblea, raccomanda vivamente l’omelia come parte dell’azione liturgica. Da quel momento l’omelia accompagna la celebrazione, non è una performance separata, e allo stesso tempo si distingue dalla predicazione essendo all’interno della celebrazione. L’omelia, infatti, non è una catechesi, né una lezione accademica. Sono parole attraverso le quali Cristo si fa presente. Se il celebrante ha capito la funzione dell’omelia, grazie alla spiegazione aiuta Cristo a farsi presente attingendo alle fonti della Sacra scrittura e del rito. L’analisi del professore, che sottolinea l’importanza che nella Envangelii Gaudium Papa Francesco riconosce all’annuncio nell’azione liturgica, parte dalle radici della predicazione cristiana. Il primo ambito è quello dell’Antico Testamento, della tradizione ebraica, in cui ci sono due esperienze di liturgia della Parola: una straordinaria che avveniva nel tempio e l’altra ordinaria ovvero il culto sinagogale sabbatico. In sintesi, questo culto ha cinque momenti: l’invito all’ascolto con lo Shemà, la risposta nell’Amen, la lettura della legge e dei profeti, l’omelia e la benedizione. È evidente il collegamento tra questa esperienza e il culto cristiano dei primi secoli, come riportato da Giustino e Tertulliano. Tuttavia, pur riprendendo la stessa forma, la liturgia cristiana propone un diverso valore teologico, facilmente riscontrabile anche nell’architettura delle chiese rispetto alle sinagoghe. L’evoluzione della predicazione nell’azione liturgica proseguirà e nel III-IV secolo avranno una grande diffusione le omelie mistagogiche, che si facevano nei primi giorni dopo il battesimo per illuminare il fedele su ciò che aveva sperimentato durante la liturgia. Questo tipo di omelia, oggi molto popolare, richiede un’esperienza previa per poter entrare nel mistero, che è la persona stessa di Gesù Cristo. Il professor Jurczak ha interrotto il suo percorso, in vista di un secondo intervento il 28 marzo.

Dopo di lui, è stato il turno del Monsignor Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che ha diviso la sua lezione in due parti. Innanzitutto, ha ritenuto importante definire il contesto in cui operano i moderni mezzi di comunicazione, approfondendo il concetto della Post-Verità. Nella post-verità che caratterizza il mondo contemporaneo, infatti, l’oggettività dei fatti è meno importante dell’opinione personale, di ciò che il singolo sente. La post-verità si basa su credenze diffuse e non su fatti verificati, e la verità diventa qualcosa di cui si può fare a meno. Nell’uso comune si parla di post-verità indicando le informazioni false (fake news) per fini non ben identificati. Non c’è più l’argomento autorevole o la fonte autorevole, perché ogni argomento, ogni fonte ha pari valore e il mio sentire definisce ciò che è valido o no. Predomina una logica emotiva con una moltiplicazione dal basso delle diverse versioni di un fatto. Il suffisso “Post” indica la vaghezza della verità, o meglio di ciò che assumo come vero. Ciò è l’esito di un’evoluzione mediatica possibile attraverso i nuovi media, la moltiplicazione delle agenzie di informazione, la diversa velocità, modalità di trasmissione e condivisione delle notizie. Si vive una dimensione di show permanente che modifica l’idea di intimità e confessione. La post-verità non nega la verità, ma mescola pezzi di verità con il falso in un unico racconto.  Segmenta, moltiplica e privatizza la verità. Soggettivizza la verità che si erge come unica, e chi la pensa in modo difforme non può esistere. Tutto è bianco e nero, vero o falso con un vero e proprio binarismo dell’essere umano. Si stravolge il concetto di credibilità e si promuove un esasperato gusto per lo storytelling.
In questo contesto si inserisce la possibilità dell’annuncio della fede in televisione oggi, tema della seconda parte del discorso di Ruiz. Citando le opere “Parlare di fede in TV – breve corso di Media training” di Bruno Mastroianni e “Come difendere la fede senza alzare la voce” di Austen Ivereigh, l’intervento si è focalizzato sulla possibilità di usare il mezzo televisivo a partire dalla consapevolezza di quel soggettivismo che è al centro della cultura contemporanea. Seguendo il modello di Lasswell (Mittente- Ricevente – Messaggio) bisogna prima di tutto rendersi conto che in un ipotetico confronto televisivo il mittente non è l’ospite che per motivi di spettacolo è invitato a rappresentare l’altro punto di vista rispetto alla visione cristiana, ma il pubblico. Perciò bisogna non farsi travolgere dalle provocazioni, essere attenti al linguaggio del corpo dato che il mezzo televisivo è molto veicolare, avere le idee chiare sul contenuto che si vuole trasmettere.
Da una serie di esempi sono emersi alcuni aspetti importanti per una buona comunicazione in televisione:
  • Mai litigare, cadendo nel tranello di chi cerca di fare spettacolo provocando reazioni forti;
  • Evitare espressioni conflittuali tipo “non sono d’accordo!”, “Questo è falso!”, “Questo è immorale!” che condannano e non aprono al dialogo;
  • Fare attenzione al fraintendimento di termini usati con accezioni diverse rispetto a come li useremmo noi, ad esempio “libertà”, “amore”, “famiglia”;
  • Utilizzare il reframe per trovare un punto comune, ad esempio ammettendo serenamente un male commesso dalla Chiesa nel passato per sottolineare che l’impegno oggi è proprio a superare certe drammatiche situazioni.
“L’arte dell’annuncio” prosegue con un ciclo settimanale di lezioni fino al 9 maggio in cui sarà sviluppato il tema dell'annuncio sotto i profili biblico, liturgico e catechetico grazie al contributo di altri validi testimoni come Marco Frisina, Rosanna Virgili, Dominik Jurczak, Raffaele Di Muro, Antonio Tarallo, Enzo Biemmi, Angela Tagliafico.









 
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