Donazioni

NEWS:
La verità che sconfigge la barbarie

Pubblicata il:  21 Luglio 2022



A trent’anni dalle stragi di Via D’Amelio e Capaci ancora non è dato conoscere chi volle armare la mafia perché si uccidessero i due coraggiosi giudici, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, al servizio della collettività per la difesa del bene comune. Eppure c’è un luogo in cui l’essere umano può riconciliarsi con se stesso, una terra di confine tra l’umanità e la barbarie in cui si erge la verità, al cospetto della quale il peccato assume la sua reale dimensione. Colui che pecca può chiedere al Signore di accompagnarlo nel superare quella “condizione a cui non può trovare una soluzione” (così Papa Francesco nell’omelia nella cappella di Santa Marta, l’11 novembre 2013) e grazie a Dio la trova, perché la consapevolezza di essere peccatori alimenta il perdono e l’uomo che si sente amato può esprimersi in tutta la sua libertà e gratitudine. Papa Francesco in quella famosa omelia sottolinea però la differenza tra peccatori e corrotti che “non sanno cosa sia l’umiltà” perché “dove c’è l’inganno non c’è lo Spirito di Dio”.
Il tema è sempre attuale, ma lo è ancor di più nei giorni in cui altri giudici hanno deciso di non procedere verso chi, persone note, ha architettato a tavolino un depistaggio sulla strage di via d’Amelio, considerando “vecchi” quei fatti. Ma se il dolore è ancora vivo e cresce tra le persone del nostro Paese, e non solo, e sempre più i giovani chiedono di conoscere la verità, come può un tribunale rendersi responsabile di una simile presa di posizione? Ragioni di ‘ordine pubblico’ spesso invocate per ovviare a norme di valenza superiore potrebbero superare sterili regole, com’è quella della prescrizione?
Papa Francesco al n. 28 di ‘Fratelli tutti’ sostiene che “La solitudine, le paure e l’insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate dal sistema, fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie”. Sa bene il Pontefice quali sono le conseguenze di certe decisioni e, grazie a Lui, molti di noi, da tempo, si sentono meno soli.  Il 21 giugno 2014 nella sua omelia nella Piana di Sibari, in occasione della visita pastorale in Calabria, Francesco parlò di “scomunica” verso chi vive di malaffare e di violenza, una scelta doverosa, se si pensa a quanti criminali si sono impossessati di simboli o immagini di santi, strumentalizzando forme di devozione a vantaggio delle proprie ambizioni sulla via del male. I mafiosi “non sono in comunione con Dio”, seguono il destino della corruzione. Essere corrotto significa degenerare, guastarsi, puzzare. “Spuzza” la corruzione, disse il Papa nel quartiere di Scampia, dove volle incontrare la popolazione, il 21 marzo 2015, in occasione della visita pastorale a Pompei e Napoli. Tale modus vivendi presuppone sempre che ci sia qualcun altro da corrompere: la società corrotta è un corpo in putrefazione. Un cristiano non può tollerare di far parte di un corpo degenerato, essendo chiamato a far parte dell’unico corpo che è la Chiesa, di cui è tralcio e può portare frutti di bene per sé e per i fratelli e le sorelle solo seguendo il Vangelo.
Anche Benedetto XVI a Palermo, il 3 ottobre 2010, rivolse parole chiare ai giovani e alle famiglie siciliane, esortando tutti a non aver paura di contrastare il male. “Insieme sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra! Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo”. Quel giorno il Papa emerito, tra gli altri, indicò in Rosario Livatino, giudice, e nel sacerdote Pino Puglisi, entrambi assassinati dalla mafia, quali esempi da seguire e, prima di rientrare a Roma, volle rendere omaggio ai caduti di Capaci. Sapeva bene Benedetto XVI quanto fosse importante testimoniare con chiarezza i valori umani e cristiani.
Allo stesso modo diciassette anni prima, Giovanni Paolo II ad Agrigento, al termine dell’omelia, pronunciò per primo parole forti contro la criminalità organizzata e i mafiosi. Era il 9 maggio del 1993. “Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!” Non era ancora morto don Pino Puglisi e la speranza di una svolta d’amore era grande, anche per le dichiarazioni di nuovi collaboratori di giustizia che intesero prendere le distanze da tanta efferatezza.
Dopo tutti questi anni non tutto è perduto, neppure il perdono. Ci rincuora Papa Francesco in un altro paragrafo di ‘Fratelli tutti’ il 241 “Non si tratta di proporre un perdono rinunciando ai propri diritti davanti a un potente corrotto, a un criminale o a qualcuno che degrada la nostra dignità. Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo deforma come essere umano”.

Vincenza Spiridione
Condividi questo articolo