Il secondo, dei tre appuntamenti in programma, che hanno come fulcro di riflessione la Croce, si è svolto nelle giornate di giovedì 21 e venerdì 22, presso la Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura-Seraphicum.
Impossibile omaggiare con semplici parole tutti gli studiosi e le studiose intervenuti in questi due giorni al convegno internazionale "La Croce nei secoli XIV e XV. Scritture, immagini, modelli", si rischierebbe di non essere abbastanza esaustivi e prodighi di complimenti, del resto è bastato scorrere il programma per entrare nella sala con timore reverenziale.
Altrettanto impossibile provare a nominare, con la dovuta serietà tutte le personalità, maschili e femminili, francescane e non, che sono state illustrate e presentate attraverso la lente del focus proposto; raccontarne una, omettendo le altre, sarebbe intellettualmente scorretto.
Le giornate sono state intense e, in ogni intervento, l’attenzione dei presenti è stata catturata con professionalità e maestria. Tutte le relazioni, come da programma, hanno saputo essere all’altezza delle altre, ognuna con la propria peculiare trattazione, lasciando tracce di sana e avida curiosità, il desiderio di approfondire l’argomento e di ascoltare oltre il tempo stabilito.
Provando però, comunque, a fare un sunto di tutto ciò che è stato esposto, senza provare a balbettare parte dei contenuti relazionati, è possibile dire che il cuore della nostra fede, la Croce di Cristo Risolto, è davvero un diamante dalle mille facce e, tutte, ugualmente luminose, tutte ugualmente ricche di senso e valore.
Sia che si parli di arte, che di sermoni o di visioni, di storia o di trattati, la croce sa ispirare sentimenti e riflessioni e, ancor più fondamentale, sa provocare la sequela più vera. Sia che la si guardi nella sua interezza (come denominatore comune della vita di Cristo), sia che la si guardi nei suoi singoli dettagli (ad esempio analizzando la larghezza o la lunghezza dei suoi bracci quasi a volerli identificare con un trono di gloria), o ancora, la si guardi attraverso le ferite impresse sul corpo di Cristo (con audaci ipotesi al limite dell’eresia), la croce è segno che squarcia il tempo e lo spazio e rende possibile l’amicizia tra noi e Dio.
La croce è un faro che indica la direzione, che permette di trovare in noi la forza e la capacità di perdonare, di arricchirsi, di plasmarci a sua immagine, di seguire la propria strada. Sì, la croce chiama, interpella, attrae e riconcilia. È il lignum vitae che si ramifica portando frutti abbondanti perché non c’è gioia più grande, né vita più vera, di quella che risponde all’Amore di Dio.
La finestra aperta sui secoli XIV e XV ha permesso di registrare anche un passaggio fondamentale: dalla soddisfazione alla comunione; perché la croce non può essere considerata solo come un pagamento dovuto per un torto subito e non è violenza cercata, ma giustizia fondata nell’umanità (vedi ciclo di affreschi nella Basilica di San Francesco ad Arezzo) per rifondarla; così, in quest’ottica, diventa segno di alleanza, arcobaleno di speranza, ponte di luce, porta aperta verso il Padre che attende.
La croce, nelle sue sfaccettature non può che rivelare le sue numerose realtà, e così è dolore e gioia allo stesso tempo, fisica e spirituale, eterna e attuale. È lo sguardo meditativo e colmo di fede di Maria e, allo stesso tempo, il suo patimento al quale partecipano anche gli angeli; perché il crocifisso gotico doloroso, con i suoi accenti sulla passione, vuole suscitare la compassione del fedele e invitarlo a partecipare così, attivamente, alla Redenzione operata da Cristo.
Solo ponendoci di fronte alla croce, e contemplando tutta la sua profondità ci ritroveremo a scoprire in noi la sua stessa forma, la stessa radice e, solo allora, potremo accoglierla e coglierla come uno specchio: siamo chiamati, infatti, a conformarci alla croce di Cristo, non restando inermi ai suoi piedi, ma salendoci, espandendoci, stirandoci oltre i nostri limiti fisici e affettivi per liberare così la nostra volontà attraverso l’umiltà, la perseveranza, la magnanimità e la carità.
La croce è, dunque, anche immagine di pietà, per ognuno di noi ma, allo stesso tempo, ci chiede pietà. Abbiamo bisogno di guardarla dal punto di vista del cuore per lasciarci coinvolgere dalla passione come Maria, che davanti alla Sua nudità, segno di una profonda solitudine, lo riveste con un gesto d’amore. Infatti, l’amore non è solo un sentimento, un sospiro, un’emozione ma è azione libera e volontaria, è materia concreta, è sangue e sudore versato, è immagine di dono totale di sé per l’altro: è rivelazione dell’Amore Trinitario.
Appuntando un doveroso e sentito grazie per l’opportunità di questa immersione e per gli spunti di approfondimento che ci sono stati donati, aspettiamo il terzo appuntamento di questo percorso.
Anna Ersilia Gigante
Pubblicata il: 23 Novembre 2024
Condividi questo articolo