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Sesto incontro per "L’arte dell’annuncio": dalla Sacra Scrittura all’azione teatrale

Pubblicata il:  19 Aprile 2023



Il sesto pomeriggio del corso “L’arte dell’annuncio” di martedì 18 aprile ha avuto due protagonisti dell’azione evangelizzatrice: la Sacra Scrittura, che fin dalla prima comunità di Gerusalemme ha avuto un ruolo centrale, e l’azione scenica che dalle rappresentazioni sacre del passato continua oggi attraverso la nuova sensibilità del teatro contemporaneo.

La prima parte è stata affidata alla biblista Rosanna Virgili, che ha evidenziato come l’annuncio del Vangelo inizia dopo i difficili quaranta giorni in cui il Risorto deve preparare i testimoni che faticano a credere.  La trasmissione della fede è infatti la testimonianza della Risurrezione di Cristo che da Gerusalemme deve arrivare in tutto il mondo. Questo è il programma della fede cristiana. Ma bisogna subito notare che l’annuncio di Pietro si rivolge prima di tutto a coloro che l’hanno ucciso. Non si inizia ad annunciare escludendo nessuno, anzi si parte proprio da chi lo ha rifiutato.  Pietro si rivolge a Caino e lo fa a partire dal Primo Testamento, come faranno anche Stefano, Paolo e tutti i discepoli. Pietro parte dalla Scrittura e dall’esperienza vissuta per rivolgersi prima di tutto agli assassini, non per condannarli ma annunciare che proprio loro sono i primi ad avere il diritto a fruire della liberazione, della risurrezione di Gesù. E alla domanda di come ciò sia possibile, Pietro usa una semplice parola: convertitevi. È necessario un cambio di mentalità, perché la conversione è parte dell’annuncio. Questo cambiamento è già risurrezione, è già Pasqua. Se ti converti entri in una persona nuova e ti liberi dal male che hai compiuto. Il male che hai fatto non ti fa vittima, ma come in un parto, convertendoti, vivi una vita nuova. C’è per tutti un ottavo giorno, quando dopo tutto il male fatto viene annunciata una libertà. Ancora oggi, gli ambienti cristiani tendono a un certo dualismo tra il Dio giusto e rigido dell’Antico Testamento e il Dio misericordioso rivelato in Cristo. Rosanna Virgili ha mostrato come l’annuncio della vita per grazia, per via del perdono, sia uno schema che troviamo già nel Primo Testamento. La Scrittura conferma in ogni suo passaggio la Parola del perdono del Nuovo Testamento. L’errore che spesso si fa è di confondere il perdono con il condono. Nel perdono si riconosce, si denuncia il delitto. Dio denuncia i delitti, ti mostra il male che hai fatto, ti fa piangere, ti fa capire che ogni delitto commesso ad un altro è un delitto a te stesso. Nella Bibbia esiste l’idea di persona, non di individuo, e ogni persona è un fascio di relazioni. La punizione nell’Antico Testamento è sempre pedagogica. Caino sarà esule, perché da fratricida deve sperimentare una vita senza fratelli, senza relazione. Eppure, in tutto il Primo Testamento Dio cede sempre al perdono. Tutta la Bibbia è un cedimento di Dio, che non riesce a non amare l’uomo malvagio, basti pensare all’alleanza con Noè nonostante l’intenzione con il diluvio di cancellare l’umanità. Centrale nel Primo Testamento è il libro dell’Esodo. È una storia di migrazione, di profughi sottoposti alla schiavitù e minacciati di sterminio. Dio salva questo popolo, ma nonostante tutto il popolo si lamenta. Offre loro un’alleanza profonda in cui Dio non vuole essere un idolo, ma li vuole liberi e il popolo riduce Dio a un vitello d’oro. Il popolo disconosce il Dio alleato che libera i dominati dai dominatori, per farsi possedere da un idolo secondo la logica del do ut des. A questo punto sarebbe stato giusto sterminarli come previsto dal patto di alleanza. Ma l’alleanza non si fonda neanche su questo. Mosè dice a Dio di convertirsi, e si noti che nella Bibbia Dio si converte più spesso dell’uomo. Mosè non pone davanti a Dio i meriti del popolo, ma la fedeltà di Dio stesso. Mosè lo invita a fare memoria dell’amore che ha avuto verso questo popolo fin dai tempi di Abramo. Poi, lo stesso Mosè si pone come ostaggio, come Gesù in croce, per chiedergli di cancellare anche lui se deve cancellare il popolo. Questa è la forza della profezia. Nella Scrittura allo splendore di Dio si associa sempre lo splendore dell’umano. La Torah è liturgia del perdono. La misericordia è grembo della giustizia. E così Dio si rivelerà con 13 nomi e il primo nome di Dio è misericordioso.
Tutto il percorso del Primo Testamento prosegue in questa direzione mostrando la totale continuità con il Secondo.  L’annuncio ha bisogno di una testimonianza che parte dalla memoria che il Nuovo Testamento prende dal Vecchio. Si rivela un Dio misericordioso e nel Nuovo Testamento tutto si compie. È un compimento non una contraddizione.  Si tenga conto che l’annuncio non è mai uguale a sé stesso. La grande novità sarà data dalla necessità di traduzione. Dopo la Pentecoste l’annuncio non sarà solo agli ebrei, ci sarà bisogno di una lingua. Il libro degli Atti si apre a Gerusalemme ma si chiude a Roma. Ma si noti che le lingue devono essere conservate, perché la Pentecoste si contrappone alla torre di Babele. Nessuna identità va cancellata. È il riscatto della Torre di Babele. Avendo tante lingue noi non possiamo comunicare, ma lo Spirito diventa la giuntura delle lingue. La Pentecoste restituisce alle lingue lo statuto originario. Nella diversità si entra in relazione. La croce conduce due estremi, Dio e l’umano, i giusti con i peccatori. L’annuncio cristiano è valore di una Scrittura che non è fissa. E proprio da questo dato proseguirà l’intervento di Rosanna Vigili che sarà nuovamente ospite del corso il prossimo 2 maggio.

La seconda parte del pomeriggio è stata affidata al regista Antonio Tarallo, che ha spiegato come evangelizzare attraverso la messa in scena teatrale. Il teatro si fonda su due elementi: la visione e l’azione. A partire da un tema si sviluppano degli episodi e si approfondiscono le caratteristiche di alcuni personaggi. Già nel X secolo ci furono rappresentazioni sacre come il Quem Peretis e anche se il teatro nella storia ha assunto sempre di più contenuti laici, il ruolo del teatro è stato sottolineato da due importanti pontificati dello scorso secolo, quello di San Paolo VI e San Giovanni Paolo II. Il giovane Karol Wojtyla fu autore e attore teatrale, e ancora oggi il suo testo “La bottega dell’orefice” è rappresentato. E proprio analizzando l’allestimento che lo stesso Antonio Tarallo ha fatto di questo testo si è sottolineato come per evangelizzare con il teatro, sia fondamentale che l’azione scenica abbia una presa. Mettere in scena l’azione sacra non è facile oggi. In un’epoca che si basa sulla velocità, per un pubblico di oggi l’azione scenica deve essere ben congeniata perché il messaggio sia veicolato, offerto al pubblico. L’azione deve essere un buon veicolo della parola. Arte e Teatro hanno l’onere di rendere più diretto il messaggio, rendere visibile l’invisibile. Questo è uno dei compiti di chi usa il teatro per evangelizzare.

“L’arte dell’annuncio” prosegue con un ciclo settimanale di lezioni fino al 9 maggio in cui sarà sviluppato il tema dell'annuncio sotto i profili biblico, liturgico e catechetico grazie al contributo di Rosanna Virgili, Marco Frisina, Raffaele Di Muro, Enzo Biemmi.









 
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