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Quinto appuntamento per "L’arte dell’annuncio" tra liturgia e testimonianza efficace

Pubblicata il:  29 Marzo 2023



Il 28 marzo 2023 si è svolto il quinto pomeriggio del corso “L’arte dell’annuncio”, con due momenti: il primo finalizzato a concludere il tema del rapporto tra liturgia e annuncio e il secondo sull’efficacia dell’azione evangelizzatrice.

Il frate domenicano Dominik Jurczak, Decano di Teologia dell'Angelicum e professore di critica ed ermeneutica dei testi liturgici presso il Pontificio Istituto Liturgico Anselmianum, ha iniziato il suo intervento con un riepilogo del percorso della settimana precedente in cui aveva collegato la scelta compiuta dalla Chiesa Cattolica nel XX secolo di avere più Bibbia all’interno delle celebrazioni liturgica e l’omelia come parte dell’azione liturgica con la prassi dei cristiani delle origini.  Analizzando la storia del passato ha quindi approfondito il tema della mistagogia, ovvero di quelle omelie che si facevano ai neobattezzati per spiegare ciò che avevano vissuto. Perché si faceva dopo e non prima? Il professore ha evidenziato che senza il battesimo manca il dono fede e non si può ragionare all’interno della fede. Se manca la luce che viene dalla fede, non si possono guardare le cose da credente. Analizzando i testi di alcuni autori di queste omelie, come Ambrogio e Cirillo di Gerusalemme, è evidente come tali omelie fossero inserite nell’azione liturgica. La mistagogia è esempio e ideale per fare un’omelia oggi, perché non sono un discorso aggiuntivo ma espressione di una esperienza vissuta con Gesù Cristo. È lo stesso Papa Francesco a riprendere il modello mistagogico per la trasmissione della fede, di un’esperienza di incontro con Gesù Cristo.
La domanda che ci si è posti a questo punto è stata come mai tra il V e il XX secolo si assiste a un percorso che pone l’annuncio e la predicazione fuori dall’azione liturgica, e ci si è chiesto se ci sia stato o no una vera propria separazione tra liturgia e annuncio.
In sintesi, si è visto come una serie di situazioni legate all’espansione del cristianesimo e alla lotta alle eresie portò la Chiesa ad affidare in via esclusiva l’omelia ai vescovi. Nel tempo però è emersa sempre di più la necessità di un annuncio costante che dopo il Concilio Lateranense IV del 1215 fu affidato principalmente agli Ordini Mendicanti che predicheranno fuori dell’azione liturgica.  Nasce la differenza tra l’omelia dentro la liturgia legata ai Vescovi e la predicazione al di fuori dell’azione liturgica. Quella predicazione, però, non era del tutto staccata dalla liturgia e fino al XX secolo farà riferimento alla liturgia pur essendo al di fuori della celebrazione.  La liturgia, infatti, è opera di redenzione, prolunga ciò che Cristo presente non solo nelle specie eucaristiche o nel popolo riunito, ma anche nella Sacra Scrittura, sta facendo per noi.

La seconda parte del pomeriggio è stata affidata alla professoressa Angela Tagliafico, docente di Teologia Spirituale al Seraphicum e presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, che ha evidenziato gli elementi che rendono efficace l'annuncio cristiano. Il suo intervento ha toccato vari aspetti: la relazione tra Vangelo e annuncio, l’annuncio della fede come risposta a un Dio che si rivela come sapienza e amore, la dimensione personale ed ecclesiale dell’annuncio efficace caratterizzato dalla responsabilità dell’evangelizzatore verso Dio che si rivela e verso coloro cui ci si rivolge.
Il primo aspetto riguarda il Vangelo ovvero il mistero pasquale. Nel mondo classico il termine vangelo indicava la vittoria, l’intronizzazione del re, ma in ambito cristiano diventò il messaggio di salvezza. Un annuncio che suscita gioia, dando una grande speranza. Questo annuncio può avvenire solo seguendo lo stile di Gesù, che è il primo e più grande evangelizzatore. L’annuncio di Gesù non è stato un annuncio compassato, pensato a tavolino, distaccato, freddo, abitudinario, ma è stato implicato, coinvolto, appassionato e a favore dell’umanità. Il silenzio della preghiera, l’insegnamento itinerante, la tenerezza degli incontri, autorevolezza della parola e l’efficacia dei gesti erano parte integrante di un annuncio che si basava su un acuto senso di osservazione della realtà. Non dava risposte a domande che nessuno faceva, come a volte oggi si rischia di fare. Metteva sempre in contatto il mondo di Dio con il mondo dell’uomo, perché l’annuncio è un ponte e l’annunciatore è pienamente immerso in tutti e due i mondi. Gesù ci insegna a vivere tutto questo con passione. Serve quella passione per la Signoria del Padre di chi è consapevole di essere figlio. È necessario mettersi costantemente alla scuola di Gesù, perché Dio si è comunicato mediante la rivelazione rendendoci capaci di ascoltare la Sua Parola per poter annunciare la salvezza. La meraviglia e lo stupore dovrebbero essere palpabili, perché Dio ci comunica il suo amore e ci ricrea costantemente. Tutto viene da un Dio Padre in Cristo da cui attingiamo la passione e ricreati dallo Spirito Santo che ci insegna la meraviglia e lo stupore davanti all’amore del Padre. L’annuncio deve essere nella verità con carità. Dio non solo si è rivelato, ma lo ha fatto concretamente nella storia di un popolo che ha preso così come era. Tutto questo è da attuarsi nella Chiesa, perché l’annunciatore non è una monade ma il membro di un corpo vivo che è la Chiesa nata dal costato di Cristo. Nella Chiesa abbiamo ricevuto e trasmettiamo il kerygma. Per rispondere a chi sostiene che la società contemporanea individualista e consumista non sia un terreno in grado di accogliere tutto questo, la professoressa Tagliafico ha sottolineato che l’annuncio della fede parte da un Dio che si rivela come amore, e l’amore è sempre stato difficile. È necessario pertanto andare alla fonte, nutrirci alla Parola. Questo radica l’annuncio. San Paolo ci ricorda che il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio ed è normale che il mondo, da sempre, lo rigetti o ne resti sconvolto. La rivelazione di Dio è sorprendente anche rispetto alle attese umane. Gesù Cristo è la vera rivelazione di Dio. Oggetto dell’annuncio è l’incontro con un Dio vivo e vero in una comunità propositiva che guarda all’icona di Emmaus.  Le comunità cristiane vive fanno come Gesù: accostano, domandando, ascoltano, propongono, partono.  Questo è l’evangelizzatore Gesù, il cui stile è efficace. L’annuncio scalda il cuore prima di tutto dell’annunciatore e poi di chi è destinatario; annunciare non è fare proselitismo.  Essere kerymgatici significa essere collocati nel nostro tempo, nel nostro mondo per essere lievito e sale, che non si vedono però agiscono se sono nella misura giusta, per essere luce nel mondo ovvero lampada ai passi propri e altrui, perché il sole non siamo noi.  L’annuncio efficace del testimone è dire e donare agli altri l’esperienza che viviamo di un Altro nel linguaggio di coloro ai quali siamo inviati. Bisogna, pertanto, essere consegnati alla Parola, essere a servizio della crescita vocazionale degli altri in cui si rinnova la nostra chiamata, essere dentro la trasmissione ecclesiale. 

“L’arte dell’annuncio” prosegue con un ciclo settimanale di lezioni fino al 9 maggio in cui sarà sviluppato il tema dell'annuncio sotto i profili biblico, liturgico e catechetico grazie al contributo di altri validi testimoni come Marco Frisina, Rosanna Virgili, Raffaele Di Muro, Antonio Tarallo, Enzo Biemmi.





 
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