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Il giornalismo a tutela dei diritti nell’era della post-verità

Pubblicata il:  11 Maggio 2022



Nell’undicesimo incontro del Corso di alta Formazione in “Giornalismo ed etica”, tenuto sabato 7 maggio, Lucio Adrian Ruiz, Segretario del Dicastero per la Comunicazione del Vaticano, si è soffermato sulle caratteristiche tecniche della comunicazione nell’era della post-verità, un tempo in cui la trasformazione digitale imporrebbe la rincorsa di fatti accaduti ovunque nel mondo, presenti in rete, in tempo reale, anche su iniziativa privata. La disponibilità di una mole immensa di dati, la differente modalità di accesso da segnale digitale o analogico, l’elaborazione delle informazioni, anche grazie ad algoritmi in grado di trasformare dati in contenuti, ha modificato di fatto il ruolo del giornalista che un tempo disponeva delle notizie per essersi attivato mediante i canali tradizionali, spesso inviato sul posto per raccogliere informazioni e testimonianze. La fase di transizione in cui si trova il giornalismo oggi è dovuta a un mutamento che non è un mero processo tecnologico ma culturale, ha sostenuto Ruiz, e modifica profondamente le relazioni interpersonali, anche in contesti protetti come quello familiare. La sempre maggiore confidenza verso la rete, e tutto ciò che in essa circola, l’empatia verso un mondo virtuale, se riduce l’ascolto di chi ti è più prossimo, al tempo stesso alimenta la diffidenza nei confronti di chi trasmette notizie sui social, a causa della difficoltà di verificare fatti e accadimenti.

Per Romilda Ferrauto, assistente della Sala Stampa della Santa Sede, nell’era delle fake news spetta al giornalista, tradizionalmente inteso, definito come “cane da guardia della democrazia”, tutelare il bene pubblico della libertà. Non c’è libertà né democrazia senza libertà di stampa, ha precisato, e il giornalista che segua la sua vocazione deve far sì che la verità emerga sempre, specie laddove i diritti umani vengono calpestati e negati. Il mondo contemporaneo è pieno di soprusi sui migranti, sui bambini, sulle donne, sulle vittime di genocidi e guerre, anche quelle dimenticate. Con coraggio e un surplus di slancio ideale il giornalista responsabile ha il compito di scoprire ciò che altri vogliono nascondere. Deve saper fare le domande giuste, per lasciare ai fruitori la libertà di farsi la propria opinione in una prospettiva costruttiva, mai rassegnata. Considerato il sistema di valori in coerenza con le Carte vigenti a tutela dei diritti dell’uomo, deve essere imparziale nel denunciare senza condannare, e autorevole, nell’avvalersi di fonti certe per verificare le notizie. Mediante l’ausilio di documenti, foto, registrazioni audio e video, con senso di responsabilità, darà voce a testimoni accreditati, non già a chiunque desideri esprimere la propria opinione.

In merito ai “tuttologi”, sempre più spesso invitati in trasmissioni televisive a dire la loro, Fabio Colagrande di Radio Vaticana ha proposto l’approfondimento di questa figura emergente nel mondo dell’informazione.  Pronunciarsi su ogni genere di argomenti, senza averne competenza, non rende un buon servizio a chi voglia capire realmente come stanno le cose. Spesso ci si avvale di tali interventi per manipolare le coscienze e indirizzarle verso una visione gradita a chi offre il servizio. Un giornalista che sia tale potrà anche dire la propria opinione personale, per le esperienze fatte sul campo, potrà anche apparire un “tuttologo”, ma per essere credibile e far parlare i fatti utilizzerà fonti verificabili, farà in modo di ottenere le conoscenze specifiche da chi le detiene, citando sempre le fonti o tenendone comunque traccia, sapendosi orientare su più fronti. Per rispondere quindi al disorientamento causato dalle consuete e sempre più sconvenienti polarizzazioni, dove si manifesta lo scontro e mai il dialogo, per un rafforzamento etico della professione, il giornalista deve fare una sana autocritica, con umiltà deve attivarsi per la migliore delle formazioni, per non cadere mai nella ripetizione di quanto detto e verificato da altri, per imparare a rispettare il contesto descritto con l’ascolto autentico delle persone coinvolte,  domandandosi anche quali possano essere le ricadute successive alla pubblicazione di un articolo o di un servizio.

Infine Roberto Cetera, docente all’Ateneo Pontificio Sant’Anselmo e giornalista de L’Osservatore romano, già presente in uno dei precedenti incontri, ha fornito un prezioso decalogo per il giornalista.

Vincenza Spiridione


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